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Fichte, Johann Gottlieb.

Filosofo tedesco. Il primo dei filosofi romantici e il primo filosofo postkantiano che, anziché sottoporre a revisione il pensiero di Kant, sviluppò da esso un sistema idealistico originale. Egli dimostrò assai precocemente di possedere doti eccezionali, tra cui una memoria prodigiosa, che indussero il barone E.H. von Militz ad adottarlo e a farlo studiare nel collegio di Pforta. Frequentò poi la facoltà di Teologia dell'università di Jena e proseguì gli studi a Wittelberg e a Lipsia dove fu allievo di Marus e si appassionò al problema del libero arbitrio che egli negava in nome di un determinismo e di un razionalismo di derivazione spinoziana. Laureatosi in teologia nel 1784, fu in seguito precettore a Zurigo (1788), dove iniziò i suoi primi lavori filosofici e dove conobbe Giovanna Rahn, divenuta tre anni dopo sua moglie. Stabilitosi a Lipsia nel 1790, vi scrisse gli Aphorismen über Religion und Deismus (Aforismi sulla religione e sul deismo). L'opera è fortemente influenzata dalla Critica della ragion pura di Kant e in essa si palesano le sue contrastanti tendenze di fronte alla religione che il cuore vorrebbe accettare, ma che l'intelletto tende a negare, orientandosi verso un determinismo razionalistico. La scoperta dell'opera di Kant e l'entusiasmo per il suo pensiero lo indussero a trasferirsi a Koenigsberg dove prese a frequentare il maestro. Kant lo indusse a pubblicare nel 1792 la Versuch einer Kritik aller Offenbarung (Tentativo di una critica di ogni rivelazione). Il successo fu notevole ed egli riuscì nel 1794 a ottenere, per intervento di Goethe, la cattedra di Filosofia all'università di Jena dove rimase fino al 1799. I cinque anni in cui insegnò a Jena furono i più fecondi della sua vita. Nel 1794 pubblicò Ueber den Begriff der Wissenschaftslehre (Il concetto della dottrina della scienza della cosiddetta filosofia); nel 1796 usciva Gründlage des Naturrechts nach den Prinzipien der Wissenschaftslehre (Fondamenti di tutta la dottrina della scienza); nel 1798, Das System der Sittenlehre. Nel 1799 fu costretto a lasciare l'insegnamento in seguito alla pubblicazione sul "Giornale filosofico" di Jena di uno scritto che aveva sollevato contro di lui e contro il suo discepolo Forberg l'accusa di ateismo da parte dei rappresentanti del confessionalismo tradizionale. Trasferitosi a Berlino entrò a far parte del circolo romantico di F. Schlegel, ma, per il suo carattere scontroso e moralistico, e per la sua stessa filosofia spiritualistica, non incontrò molte simpatie. Nel 1805 ottenne la cattedra a Egangen e nel 1810 a Berlino, divenendo rettore di quell'università. Nel 1814 fu stroncato da una malattia infettiva trasmessagli dalla moglie, che l'aveva contratta curando i soldati reduci dal fronte. Nel quinquennio 1805-10 a Berlino si ebbe la "seconda fioritura" o "seconda forma" del suo pensiero. Associato da Hegel a Kant nell'accusa di fondare la realtà sul moralismo del dover essere, F., in realtà, si distacca dalla concezione kantiana per svolgere un sistema idealistico originale. Egli muove dal nucleo etico-religioso della filosofia kantiana, ma, pur avendo affermato, agli inizi della sua attività, che la sua filosofia non voleva esser altro che l'esecuzione del "sistema della ragione" lasciato incompiuto da Kant, si spinge molto al di là di tale "esecuzione". La libertà viene da lui concepita come caratteristica fondamentale dello spirito. La filosofia di F. non limita la libertà all'ambito della norma morale della vita umana come in Kant, ma affida ad essa la funzione di fondare sia la forma sia il contenuto di ogni conoscenza. F. pone così l'Io come l'assoluto che ha in sé la sua ragione. Egli coniò anche il vocabolo Ichheit (reso in italiano come Egoità o Iità o Meità). L'io puro, incondizionato, pone se stesso, ossia "pone il proprio essere", infinito, identico a se stesso. Questa infinità, però, non sarebbe sufficiente a spiegare l'origine del fenomeno, se l'io, ripiegandosi su se stesso, non ponesse, dentro di sé, a se stesso, il non-io. Pertanto, quando l'io empirico, ossia il soggetto individuale, trova, attraverso la sensazione, il dato, per spiegarlo deve ricorrere a una preistoria dell'io, a un antefatto ideale e onnipresente. Ciò avviene inconsciamente, grazie all'immaginazione creatrice. Nell'"urto" col non-io, l'io acquista la concretezza necessaria al delinearsi della sua intera finalità. Tuttavia, se non sussistesse un terzo momento, quello della sintesi, in cui "i due opposti sono identici", l'opposizione scaturita dall'identità resterebbe irrazionale. La sintesi consiste nel reciproco limitarsi dell'io per mezzo del non-io (attività teoretica) e viceversa, cioé del non-io per mezzo dell'io (attività pratica). Pertanto, nella filosofia di F. l'io si presenta due volte. Prima come io infinito che pone gli opposti; poi come spirito finito che l'io puro giustifica e al quale impone, come norma assoluta, quella dell'identità e che, nel soggetto individuale, diventa morale attivistica di progressiva coerenza. Pertanto, anche la natura pratica dell'io finito antecede la conoscenza (idealismo etico). Dovere dell'uomo è quello del progresso: individuale, nella vita della cultura, nella vita sociale e politica. Nella dottrina politica, F. si era avvicinato inizialmente (Der geschlossene Handelsstaat, Lo Stato commerciale chiuso) a una forma di socialismo da realizzarsi nell'ambito dei singoli Stati. Successivamente le campagne napoleoniche gli fecero scoprire il valore dello spirito nazionale (Reden an die deutsche Nation, Discorsi sulla nazione tedesca), portandolo ad affermare, sia pure problematicamente, il primato della nazione germanica. In quella che si suole definire come "seconda forma", F. andò rivedendo le posizioni iniziali del suo pensiero. Nel 1806, scrisse Die Anweisung zum religen Leben (Introduzione alla vita beata), di chiara ispirazione mistica. Sotto l'influenza di Schelling, tracciò un nuovo concetto di Assoluto, posto non solo come antecedente dell'io, ma come ciò che implica l'annullamento della ragion d'essere dello stesso io particolare. Non si trattò di un'involuzione rispetto alle sue opinioni idealistiche iniziali, bensì di una continuità, di un momento dell'interna dialettica del suo pensiero (Rammenau, Dresda 1762 - Berlino 1814).